L’inquinamento da microplastiche è negli ultimi anni balzato agli onori delle cronache per il crescente interesse che la comunità scientifica gli attribuisce.
Numerosi studi portati avanti da diverse equipe scientifiche hanno mostrato, nel corso degli anni, quanto le microplastiche siano onnipresenti nel nostro ambiente e, ancor peggio, nel nostro cibo. Quello che non è realmente chiaro è quanto possano essere dannose per la salute umana, e in che quantità il nostro organismo possa sopportarle.
La maggior parte delle ricerche effettuate in materia negli ultimi venti anni si è concentrata sulla presenza di microplastiche negli ambienti marini e sui danni che a tali ecosistemi possono arrecare. I rischi connessi alla diffusione di questi inquinanti plastici sono potenzialmente molto alti e non vanno sottovalutati.
Microplastiche, cosa sono?
Ma cosa sono le microplastiche? E perché sono così temute? Si tratta di particelle di plastica che non superano i cinque millimetri di diametro e derivano dalla disgregazione dei materiali plastici che utilizziamo quotidianamente o che gettiamo in discarica.
Dai biberon per bambini, che rilasciano nel latte caldo frammenti plastici, fino alla plastica in discarica, i minuscoli frammenti che si staccano si disperdono nell’ambiente. Gli scienziati hanno individuato microplastiche quasi ovunque nel mondo: dai ghiacci artici alle profondità oceaniche, non c’è ambiente in cui non siano state rilevate. Le fonti sono le più disparate: dalle microplastiche presenti nei prodotti di bellezza esfolianti fino ai frammenti che si staccano durante il lavaggio dei capi in fibre sintetiche. Un problema pervasivo e pressante. La quantità di inquinanti immessi nell’ambiente è destinata a crescere sempre più e a passare dall’ambiente nel cibo.
Secondo un recente studio, si stima che adulti e bambini possano ingerire più di 100000 frammenti di microplastica al giorno, senza contare le nano plastiche, frammenti più piccoli di un micron, talmente piccoli da essere di difficile quantificazione ma che vanno sicuramente aggiunti alla somma.
Se si considera che ogni anno vengono prodotti più di 400 milioni di Tonnellate di plastica, appare chiaro che il problema è destinato a crescere. Anche immaginando di interrompere oggi stesso la produzione di plastica, la plastica già immessa sul mercato si degraderà nel tempo portando ad un notevole quanto inevitabile incremento delle microplastiche presenti nell’ambiente.
In Agricoltura un problema particolarmente sentito è quello dei teli da pacciamatura. Posizionati sui campi per scongiurare la nascita di infestanti intorno alle colture, i teli da pacciamatura in plastica sono una grande fonte di inquinamento da microplastiche. Sottoposti alle intemperie, rilasciano nel terremo una grande quantità di materiale impossibile da rimuovere completamente. Se si considera che ogni anno in Europa si utilizzano approssimativamente 85mila tonnellate di teli di plastica da pacciamatura, appare evidente che il problema è di grave entità. Secondo le stime della Commissione Europea, ben il 5% dei rifiuti plastici comunitari deriva dall’utilizzo agricolo. E non esiste una stima accurata della percentuale di microplastiche che ogni anno migrano nel terreno dai teli per pacciamatura. Una soluzione a questa forma di inquinamento è stata tuttavia trovata e occorre implementarla sempre di più: l’utilizzo di teli per pacciamatura realizzati in bioplastiche. A differenza dei teli plastici, i teli in bioplastica hanno tempi di degradazione molto rapidi e, lasciati sui campi si degradano naturalmente senza lasciare pericolose microplastiche. Una ricerca che mette a confronto le due tipologie di teli per pacciamatura è stata realizzato nel 2020 da un equipe di studiosi afferenti a diversi atenei, l’università di York, L’università di Patrasso, l’Università di Atene e Unitelma Sapienza ed è consultabile al seguente link.
Le microplastiche in ambiente marino
Gli studi più completi sui rischi legati alle microplastiche sono stati condotti in ambienti marini. Gli organismi acquatici, come ad esempio il plancton, sembrano subire negativamente la presenza di microplastiche, soprattutto se in forma di filamenti. Tali filamenti infatti ne limitano la motilità, ne riducono il ritmo di crescita e le probabilità di riproduzione. Considerando che il plancton è alla base dell’alimentazione degli organismi marini, i rischi connessi ad una sua diminuzione sono altissimi e possono minare la vita stessa degli oceani ed il sostentamento umano.
Occorre poi considerare che una volta che le microplastiche sono finite in mare, diventa praticamente impossibile eliminarle ed entrano stabilmente a far parte dell’ecosistema fino alla loro completa disgregazione, che può impiegare centinaia di anni.
I rischi per l’uomo
Sebbene non ci siano studi definitivi in materia, la presenza di microplastiche si ritiene dannosa anche per l’uomo. Ricerche di laboratorio effettuate sui topi hanno mostrato come l’esposizione a microplastiche possa avere effetti dannosi sulle capacità riproduttive. Altra questione che viene studiata è se le microplastiche possano accumularsi nei tessuti.
Un recente studio, condotto da una equipe dell’ospedale Fatebenefratelli di Roma, ha evidenziato la presenza di microplastiche all’interno della placenta umana. Si tratta di una scoperta importante che fa comprendere quanto le microplastiche siano diventate endemiche. Per quanto non ci siano indicazioni chiare in merito alla loro eventuale tossicità ed ai connessi rischi per l’organismo, la comunità scientifica concorda nel ritenere questi dati decisamente allarmanti.
Per questo motivo non c’è tempo da perdere. La corretta gestione della plastica, dalla sua produzione al suo smaltimento è di prioritaria importanza e si auspicano a riguardo politiche sempre più attente da parte delle istituzioni.