L’articolo “How consumer shopping habits affect willingness to embrace sustainable fashion” di Annarita Colasante , Idiano D’Adamo , Paolo Rosa e Piergiuseppe Morone, pubblicato nella rivista online Applied Economics Letters, affronta il delicato argomento della sostenibilità del settore dell’abbigliamento analizzando le abitudini dei consumatori per individuare i possibili percorsi verso un atteggiamento più sostenibile.
Il settore dell’abbigliamento contribuisce all’economia europea in maniera significativa, generando un fatturato di 166 miliardi di euro e dando lavoro ad oltre 1,7 milioni di persone. Tuttavia, il suo impatto ambientale è molto alto a causa dell’uso estensivo di risorse come materie prime, acqua ed energia. Il fenomeno della “fast fashion” ha inoltre amplificato questo impatto negativo, incoraggiando l’acquisto compulsivo, generando sprechi e conseguenti emissioni di gas serra.
Il presente studio si propone di analizzare i fattori che influenzano le preferenze dei consumatori per l’abbigliamento di seconda mano al fine di promuovere la crescita della moda circolare. Gli autori si interrogano sulle modalità da mettere in atto per indirizzare il mercato della moda verso sistemi di circolarità come il mercato dell’usato e quello dell’abbigliamento bio-based o riciclato, individuando negli atteggiamenti dei consumatori un ruolo cruciale nel promuovere abitudini di acquisto sostenibili.
Un sondaggio condotto su un campione italiano evidenzia che, mentre la maggior parte degli acquirenti è incline all’acquisto di abbigliamento bio-based, solo il 50% degli intervistati ha acquistato vestiti di seconda mano.
L’analisi dei dati ha inoltre permesso di identificare due gruppi principali di consumatori: quelli della “fast fashion”, che optano per acquisti frequenti di prodotti economici e di bassa qualità, e quelli della “slow fashion” che optano per un consumo responsabile. I risultati indicano poi che la probabilità di acquistare vestiti di seconda mano è significativamente più alta per i consumatori del gruppo della slow fashion e significativamente più bassa per quelli nel gruppo della fast fashion. Probabilmente, secondo una ipotesi formulata dagli autori, perché i capi venduti nei mercati dell’usato, appartenenti a vecchie collezioni, non soddisfino il desiderio di essere alla moda proprio degli acquirenti di fast fashion.
In secondo luogo, tra gli intervistati, gli acquirenti che affermavano di fare più shopping nei negozi fisici si sono dimostrati i meno propensi a comprare vestiti di seconda mano. Al contrario, quanti si sono detti preoccupati per l’ambiente e orientati verso scelte più sostenibili, hanno espresso meno riserve verso l’acquisto di abiti usati.
Gli autori, sulla base dei risultati evinti dall’analisi dei dati, suggeriscono che per promuovere la moda circolare è importante agire sugli acquirenti della fast fashion facendo aumentare la consapevolezza riguardo ai problemi ambientali ad essa correlati agendo, ad esempio, sulla struttura dei negozi di fast fashion che potrebbero incorporare sezioni destinate alla vendita di abiti di seconda mano.
Lo studio si conclude sottolineando la necessità di effettuare ulteriori ricerche per comprendere meglio le preferenze dei consumatori e supportare la transizione verso un settore tessile più sostenibile.